Il lutto

È morto Italo Galbiati, storico vice di Capello: aveva 85 anni

Dopo la carriera da giocatore per 18 anni ha fatto parte dello staff tecnico del Milan dove è iniziato il sodalizio con Don Fabio, che poi ha seguito alla Roma, al Real e alla Juve. È stato anche suo vice nelle due esperienze da c.t. con Inghilterra e Russia

Andrea Schianchi

Arrigo Sacchi sostiene sempre: "Di un calciatore ho sempre guardato prima la testa e poi i piedi. Quelli, in un modo o nell'altro, si accomodano, si aggiustano...". Verità assoluta, perché un grande talento con poca intelligenza non andrà molto lontano, mentre un giocatore normale, ma con la testa sulle spalle sicuramente farà un'ottima carriera. Certo, poi ci vuole uno che i piedi poco educati sappia "accomodarli", che dedichi tempo allo sviluppo tecnico di un ragazzo, che lo sottoponga a costanti esercizi. Questo, al Milan, all'epoca di Sacchi e di Capello (ma anche prima), è stato Italo Galbiati.

Non soltanto un vice-allenatore, uno che sapeva dare consigli, ma un uomo che riusciva a ottenere la fiducia dei giovani, li plasmava e li migliorava. Quanti piedi ha accomodato Italo! Quanti giocatori che sono diventati poi campioni senza di lui non avrebbero fatto tanta strada! Galbiati era sempre pronto, in tuta e scarpette, a prendere da parte un ragazzo, o anche un giocatore più navigato, per fargli stoppare il pallone, per farlo colpire di testa, per corregger ela postura del corpo quando calciava in porta.

Lo trovavi sui campi di Milanello dalla mattina alla sera, perché viveva il lavoro come una missione. La sua opera, per fare un paragone, potrebbe essere assimilata a quella di un maestro elementare: deve insegnare ai bambini a contare, a leggere, a tenere in mano la matita. E deve farlo senza far pesare il suo ruolo. Galbiati era davvero straordinario in questa attività: non c'è giocatore che sia passato dal Milan che non gli debba qualcosa. Dai minori ai grandissimi, perché a volte anche Franco Baresi si fermava con Italo a fare esercizi di tecnica individuale, a provare l'anticipo, a colpire di testa.

E poi c'era il momento della partita e Galbiati, fedele al suo ruolo, si metteva a fianco dell'allenatore e parlava soltanto se veniva richiesto di un parere. Mai una volta che abbia derogato da questo metodo. Sapeva stare nell'ombra, ma per Sacchi o per Capello la sua era una presenza fondamentale, una specie di albero al quale aggrapparsi quando c'era bisogno di uin consiglio, di un suggerimento. La fedeltà, per Italo, non era un dovere, ma uno stile. Mai una volta che abbia spifferato ai giornalisti la formazione alla vigilia di una partita, nemmeno a quei cronisti che con lui aveva una familiarità di anni, mai una volta che si sia sognato di svelare uno schema nuovo, un'idea provata in allenamento.

Muto come un pesce, Italo sgusciava prima delle conferenza stampa dell'allenatore e non lasciava trapelare nulla nemmeno con i movimenti del volto o della bocca. Per lui esistevano il Milan, i suoi ragazzi da crescere e il tecnico al quale aveva, con i comportamenti più che con le parole, giurato eterna fedeltà. Averne di maestri così al giorno d'oggi.

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