L'addio

Mauro Bellugi e l’ultima battaglia: "Scusate, sono stanco"

La battaglia dopo l’amputazione delle gambe, la lotta fino alle recenti complicazioni, si rivedeva in Bastoni e sognava di consegnare a Lukaku il primo premio “Pablito” per il capocannoniere

Alberto Cerruti

Non ce l’ha fatta nemmeno lui, come il suo amico Pablito che lo ha preceduto nel maledetto 2020. Mauro Bellugi si è aggrappato alla vita fino all’ultimo secondo, ma alla fine si è arreso dopo un’ultima operazione all’intestino.

La malattia

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Lottava dal 4 novembre scorso, quando era stato ricoverato d’urgenza all’ospedale Niguarda di Milano, per le complicazioni del Covid e soltanto un intervento del chirurgo Piero Rimoldi, che gli aveva amputato le gambe, gli aveva regalato le speranze di riuscire a vivere. E lui con quello spirito con cui faceva divertire tutti i suoi compagni era riuscito a scherzare anche nel momento più drammatico: “Dottore, toglie anche la gamba con cui avevo segnato il mio unico gol contro il Borussia Moenchengladbach?”. Superata la prima crisi, sembrava l’inizio di una lenta e dolorosa ripresa, tra cure e medicazioni in attesa di andare a Budrio per provare le protesi alle gambe, che gli avrebbe pagato Massimo Moratti, “perché Bellugi è uno di noi”.

La speranza

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E lui aspettava con ansia quel giorno, anche se quel giorno sembrava sempre più lontano, malgrado l’amore della moglie Loredana e della figlia Giada che gli davano la forza per resistere tutti i giorni al telefonino, non potendo andare a trovarlo. Visite vietate per tutti, infatti, ma lui lottava e scherzava sempre, disponibile con tutti, disposto a rispondere al telefonino e a fare persino dei collegamenti in video con alcune tv, per raccontare la sua storia e per ricordare a tutti che con il Covid non si scherza. E così è passata in secondo piano la sua carriera di grande difensore, anzi stopper come si diceva ai suoi tempi, nell’Inter con cui vinse lo scudetto del 1971, nel Bologna, nel Napoli e nella Pistoiese.

In azzurro

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Senza dimenticare la sua avventura in nazionale perché con Valcareggi e Bearzot ha collezionato anche 32 presenze in maglia azzurra, partecipando al mondiale del 1974 in Germania e soprattutto a quello del quarto posto in Argentina nel 1978, con una storica presenza il 14 novembre 1973 quando l’Italia vinse per la prima volta in Inghilterra, nell’amichevole di Wembley, decisa dal gol di Capello, uno dei tanti amici che lo ha chiamato spesso in questi mesi, fino al giorno del suo ultimo compleanno il 7 febbraio quando Mauro ha compiuto 71 anni. Lo avevamo chiamato anche noi e come sempre ci aveva risposto scherzando: “Mi hanno chiamato tutti quelli che sono sull’almanacco Panini dal 1967 in avanti”. Per la prima volta, però la voce tradiva qualche problema, legato alle ultime complicazioni. “Scusami, ma sono stanco”, ci aveva detto.

Le complicazioni

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Nemmeno quell’indizio di nuove sofferenze ci aveva però fatto pensare che se ne andasse così, lasciandoci con la pelle d’oca e gli occhi umidi, alla vigilia del derby che avrebbe visto dal suo letto d’ospedale, tifando per Bastoni, nel quale si rivedeva e soprattutto per Lukaku al quale sognava di consegnare il primo premio “Pablito”, destinato al capocannoniere del campionato. Invece Pablito lo ritroverà da un’altra parte, perché anche lui ha smesso di soffrire. E’ questa l’unica magra consolazione per tutti quelli che gli hanno voluto bene. E allora addio grande Mauro, non ti dimenticheremo mai.

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